Le logiche dell’evento, solitamente, non concepiscono quel che è accaduto a Bologna negli ultimi tre giorni. Non uno, ma ben tre concerti (supportati anche da una mostra) hanno reso protagonista sul suolo petroniano uno dei gruppi più impenetrabili e, ad oggi, uno dei più importanti nel settore più sperimentale della new wave: i Tuxedomoon. Elegante ed enigmatico, il gruppo di San Francisco ha occupato il DOM, un piccolo teatro fuori porta, per restituire al pubblico esperienze e contaminazioni vecchie e nuove, percorrendo le tappe più salienti della propria prolifica e tanto varia carriera. In poche parole, i Tuxedomoon sono riusciti a sciogliere i cuori di tutti i presenti in tutte e tre le serate svolte, senza mai allentare la presa sulla platea, coniugando l’avanguardia degli esordi alla ricercatezza morriconiana degli ultimi anni.
E’ dal 2004 che l’ensemble è tornato a far parlare di sé con una certa costanza rilasciando album mai sottotono e incredibilmente ispirati. Ancora oggi, calati completamente nella dimensione “soundtrack”, i Tuxedomoon si trovano ad inaugurare una nuova uscita discografica; “Pink Narcissus” è la colonna sonora che accompagna il film omonimo (e “scandaloso”) del 1971, già proposta nella sua interezza al Centre Pompidou nel 2011. Ed è proprio con “Dorian”, uno dei brani che trova spazio nell’ultimo lavoro, che varano l’esibizione del 2 Aprile.
In una sala accogliente che questa sera ospita non più di centocinquanta persone, disseminata di cuscini rossi e poche file di sedie, Blaine Reininger, Steven Brown, Peter Principle, Luc Van Lieshout e Bruce Geduldig (attore, cineasta e “complice” da più di trent’anni) spalancano un varco dimensionale dal quale è impossibile uscire. Sembra di essere catapultati improvvisamente in un film di David Lynch: il (meraviglioso) gioco di luci scava a fondo il volto serio di Peter Principle, intento a scandire le note di basso di “A Home Away”, deforma la figura di Steven Brown e del suo sax soprano, allunga le ombre di ogni strumento presente sul palco. Contrapposti alle immagini surreali che scorrono sugli schermi posti ai lati della sala, gli episodi tratti da “Cabin in the Sky” e “Vapour Trails” restituiscono un effetto ipnotico e lisergico, tra un solo di tromba e un grottesco recitato in italiano di Geduldig. Le atmosfere calde e rarefatte di “Cagli Five-O”, “Muchos Colores”, “Annuncialto” e la coralità “jazz” di “Still Small Voice” si avvicendano a tuffi nel passato d’avanguardia davvero piacevoli e inaspettati. Blaine alterna a note taglienti di violino una chitarra aggressiva e graffiante rispolverando un’anima punk che, notiamo con piacere, non l’ha mai abbandonato. Vecchie glorie come “Nervous Guy” e “Everything You Want” si distinguono particolarmente, complici i nuovi arrangiamenti più “colti” e maturi, ma fa piacere che brani leggendari come “In the Name of Talent (Italian Western Two)” e “Seeding the Clouds” (entrambi cantati dal più intimista Steven Brown) siano restituiti in una forma molto più simile a quella originale, segno di quanto possano risultare ancora freschi e moderni. La chicca più appetitosa della serata, in ogni caso, è affidata all’encore: i Tuxedomoon, infatti, scelgono di re-interpretare “Joeboy”, primissimo singolo della band, con una carica incredibile. Se la tromba di Luc Van Lieshout dona nuova verve al brano, la forza dell’esibizione ci ricorda ancora una volta come suoni sintetici di batteria, se utilizzati dalle persone giuste, possano risultare estremamente d’impatto!
Il vero punto di forza dell’avventura bolognese dei Tuxedomoon resta esclusiva del concerto del 4 Aprile. Sul palco, questa volta, c’è anche Roberto Nanni, regista bolognese e collaboratore della band dai tempi di “The Ghost Sonata” (il cui artwork porta la sua firma). Le immagini pionieristiche che ha scelto di proiettare questa sera ospitano una colonna sonora di eccezione che segna un evento irripetibile nella storia della band. Non è un caso che il teatro sia pieno: duecento persone sono accorse per ascoltare una lunga carrellata di classici che percorre le tappe fondamentali della carriera del gruppo, attingendo tanto dal seminale “Half Mute” quanto dalla produzione che ha visto Steven Brown prendere le redini del progetto senza l’ausilio di Blaine Reininger. Se le strumentali “Fifth Column” e “The Waltz” non disattendono le aspettative degli aficionados, s’intuisce l’unicità della serata dinanzi alla performance di “The Cage” (tratta dal 12″ del 1983, “Short Stories”) che vede Bruce Geduldig interagire con Steven Brown in un inedito gioco di luci ed ombre, interpretando il testo con piglio coerente e disincantato. Sugli schermi si susseguono immagini di “found-footage” mentre le atmosfere ossessive di “Dark Companion” si disgregano lasciando più ampio respiro all’eleganza “80s” di “Some Guys” e “Lowlands Tone Poem”; Peter Principle persevera nel suo gioco fluido di ripetizioni, Luc si scatena in echi d’ottone soffusi e sognanti mentre Blaine si diletta nel colorare i brani con acute sviolinate e rumoristica calibrata all’occorrenza. Dopo la cavalcata post-punk di “This Beast”, i nostri ricevono un intenso plauso unanime cui segue un trittico davvero d’eccezione: “Litebulb Overkill”, “Nazca” e “Italian Western Two” dovrebbero marcare la fine del concerto, se non fosse per il richiamo insistente del pubblico che riporta sul palco il quintetto californiano. “Seeding the Clouds” e “Baron Brown” mettono un punto definitivo all’avventura bolognese e lasciano con l’amaro in bocca alcuni nostalgici della corrente più “electro-punk” del gruppo che continuano ad invocare “What Use?” e “No Tears” (ormai diventato l’inno di parecchi fruitori di DJ set a tema “dark-wave”) per tutta la durata dell’encore, come se questo compendio tanto eclettico non fosse bastato.
Nel mare torbido dei sopravvissuti degli anni ’80 l’ensemble californiano si conferma realtà inarrivabile e sublime, composto da musicisti autentici che sanno coniugare barocchismi classici all’immediatezza del rock, eleganza ed austerità, melodia e dissonanze, capacità e passione. L’esperienza di Bologna dimostra come, per i Tuxedomoon, il legame col nostro Paese resti ancora oggi indissolubile, raro, unico. Una vera e propria risorsa cui dovremmo essere grati, sempre.
Setlist (02.IV.14):
Dorian
Ethiopian Horns
Arab Danse
Nervous Guy
A Home Away
Time to Lose
Muchos Colores
The Storm
Everything You Want
Cagli Five-O
You
Annuncialto
Still Small Voice
In the Name of Talent (Italian Western Two)
Seeding the Clouds
Encore:
Joeboy the Electronic Ghost
Baron Brown
Setlist (04.IV.14):
Fifth Column
The Waltz
The Cage
Dark Companion
Lowlands Tone Poem
Some Guys
Joeboy the Electronic Ghost
This Beast
Litebulb Overkill
Nazca
In the Name of Talent (Italian Western Two)
Encore:
Seeding the Clouds
Baron Brown