“Amor Fati” è il terzo album della band darkwave piemontese Estetica Noir, uscito il 5 aprile 2024. E’ stato realizzato in collaborazione con Riccardo Sabetti, cantante dei This Eternal Decay, sia per la sua produzione che per il brano “The End Of Moraliadays”.
E’ un disco che si discosta dalla solita dark electro contemporanea; infatti, è un mix di darkwave, industrial e goth rock. Il tutto risulta in un lavoro molto fresco che però rimanda anche a quel tipico sound goth anni ’80 che ci piace tanto, caratterizzato da linee di basso e voci profonde.
E’ composto da nove tracce che abbracciano il tema dell’invecchiamento, processo inevitabile affrontato sì con nostalgia e romanticismo, ma anche con rabbia e opposizione nei confronti di “chi ci vuole addomesticati e omologati, senza sogni a livello individuale e spirituale”, così scrivono gli Estetica Noir su Bandcamp. Inoltre, è un modo per riavvicinarsi al proprio “bambino interiore”, nonostante la “razionalizzazione dei sogni”, la “deriva culturale” e la “preoccupazione per il futuro”.
L’ascolto inizia con “Burnout”, una delle tracce che ricorda proprio quello stile gothic rock menzionato in precedenza. La parte del testo che più salta all’occhio è “Nowadays all that matters is only appearance / it is just winning” “Al giorno d’oggi conta solo l’apparenza / sta semplicemente vincendo”. Un chiaro riferimento ad una società che ormai predilige l’apparenza, appunto, a discapito dei contenuti e della sostanza. Sostanza che però qui non manca, cosa che ci fa sperare nell’esistenza di personalità con la volontà di comunicare qualcosa; di creare delle canzoni a tutti gli effetti, non solo “suoni”, o prodotti: “make songs, not sounds” così leggiamo sul loro profilo Facebook. Di conseguenza, un progetto spinto sicuramente da tanta passione, da “un’esigenza interiore”, nonché un modo per dare sfogo al “fanciullino che scrive ancora i loghi delle band preferite sul diario di scuola” – ecco che ritorniamo al tema del bambino interiore – come dichiarano loro stessi, ancora una volta. Brano che è quindi una perfetta dimostrazione di quanto detto finora, nonché una premessa per ciò che vuole rappresentare l’album.
Anche la seconda traccia, “Pain”, può trasportarci un po’ alle origini del dark.
Questo avviene grazie al suo ritmo, alle sue vocals molto oscure e a temi come la solitudine, ad un odio che forse un tempo era molto altro (“You didn’t care what I felt. Loneliness / I turned the page in the age of illusion’s end. /…and this is why I hate you. But oh well…now I know who you are.” “Non ti importava cosa provavo. Solitudine / Ho voltato pagina dell’era della fine dell’illusione / … ed è per questo che ti odio. Beh… ora so chi sei.”)
“Summer Shine” e “Faded” hanno un’impronta diversa, più soft, che dona equilibrio e permette all’album di avere una sonorità molto diversificata e mai monotona.
La prima sembra quasi un prosieguo di “Pain”: ricorda sempre quella che un tempo poteva essere una persona amata; “Faded”, al contrario, ci racconta del tempo che passa (“Time is fleeting like a breeze“) dell’arte come bisogno per nutrire l’anima (“To make art is all I need“), di quella sensazione di star svanendo (“I’m fading away“), ma anche di temi meno personali e più politici, come una dittatura mascherata da democrazia (“You talk about democracy, but you’re chauvinist and a dictator).
Siamo arrivati alla traccia numero cinque, “The End of Moraliadays”, quella in cui è presente anche Riccardo Sabetti. In effetti non è difficile percepire la sua influenza, come nel resto dell’album.
Altro brano meno “strong” e più lento rispetto ai primi; ciò riflette gli argomenti trattati, ossia la disonestà (Everyone lies and honesty’s dying) e la realizzazione di sogni in un futuro piuttosto difficile da immaginare (dreams of your life are trapped in a future we can’t use).
Dopo “Iter Vitae”, traccia instrumental, troviamo “Strange Hologram” e “Stockholm Azure” due brani sulla scia di quelli iniziali. Un rinvenimento di quelle voci cupe e di quell’intensità che soddisfa a pieno le aspettative nate da ciò che abbiamo ascoltato finora.
La conclusiva “The Cell” è un’altra traccia che rimane coerente con tutte le altre, per le sue melodie in perfetto stile darkwave e la malinconia che è possibile percepire nel testo.
Dunque, sicuramente un album da apprezzare. Non solo perché è il frutto di una grande passione, ma anche perché è una boccata d’aria fresca, una nuova uscita diversa dalle solite, un richiamo al passato senza però essere un tentativo di volerlo imitare.