“L’Attesa Che Uccide” è l’album uscito ad aprile di quest’anno di Lacrima Noir, nuovo progetto di Ignazio Mele emerso dalla “Cenere” dei Lacrime di Cera, band darkwave sarda degli anni novanta.
“Decadent Wave”, “Spleen et Nihilismus” così descrive la sua musica il cantante e compositore.
Troviamo quindi un oscuro decadentismo e una forte ispirazione Nietzscheana.
Nonostante ciò, il disco rappresenta comunque una luce nel buio, perché si differenzia dalle sonorità goth moderne, ma non ha un sapore nostalgico, diventando un disco senza tempo;
per i molteplici riferimenti culturali, più nello specifico cinematografici, letterari e filosofici;
perché quei sentimenti di inadeguatezza, disperazione e rassegnazione che ci arrivano attraverso le cuffie, descrivono situazioni reali e sono capaci, appunto, di farci sentire rappresentati.
La magia che caratterizza questo genere.
La differenza è che stavolta quella magia si accende grazie ad un’anti-convenzionalità tutta da apprezzare: non con le solite parole ma con una scrittura più poetica e, allo stesso tempo, schietta, cruda, vera. Un mix che porta a diversi spunti di riflessione e ad un’approfondita analisi.
Con “Michelle”, si comincia già con i riferimenti al cinema: nel video musicale troviamo “frammenti” (di attimi, per citare il testo…) di Rapsodia Satanica, film muto del 1917 di Nino Oxilia, variazione di un poema faustiano.
La teatralità delle scene esprime con esattezza ciò che il brano vuole trasmettere, proprio come i temi del film come avidità, amore e morte rispecchiano le parole “Estatica Erotica Eterna Attesa / Michelle / E’ questa l’Attesa Che Uccide”. Qui viene smascherato il significato del nome del disco.
Il desiderare qualcosa o qualcuno da così tanto tempo, ma non riuscire comunque ad avvicinarsi, arrivando così a subire un turbamento interiore.
“Dusseldorf Noir”, altro brano di ispirazione cinematografica: Si tratta M – Il mostro di Dusseldorf, capolavoro di Fritz Lang del 1931. La traccia inizia proprio come il film, ossia con la canzoncina inquietante intonata da una bambina di nome Elsie:
“Scappa scappa monellaccio, se no viene l’uomo nero col suo lungo coltellaccio, per tagliare a pezzettini proprio te!”
Dopo il motivetto, si prosegue con un ritmo incalzante perfetto per un brano che vuole rifarsi a quella che si può definire una delle prime pellicole su un serial killer. Ottima scelta per una successiva descrizione di quello che è un Noir a tutti gli effetti, con “vicoli bui, freddi e spettrali”.
Il brano, però, non vuole essere soltanto una rappresentazione delle atmosfere cupe emanate da M; si parla della trama nella sua interezza e, quindi e soprattutto, anche del processo del killer e di quello che egli prova. Il “mostro” non è altro che un individuo psicologicamente disturbato, prodotto di una società già malata. Il suo malessere, frutto della decadenza della società, viene qui trasmesso in modo eccellente. Ritroviamo, inoltre, il tema principale de L’Attesa:
“Non è volontà / non posso frenare L’Attesa
Ma gli occhi di un cieco / vedono più di chi vede
E ora il crimine resusciterà
Riporterà il disordine nell’ordine dell’immoralità”
“Inseguo me stesso / Senza coscienza di me
La città è ormai nera / Ritratto sui muri
Non mi riconosco / Sono io ora la preda
Madri, padri, gendarmi, criminali / Non sono stato io, lo giuro!
Sento urlare una voce / Non la posso sentire
E corro / Per strade senza fine”
Proseguiamo con la terza traccia, “L’Azzurro Silenzio”, quella dai richiami filosofici.
Un riferimento a colui che nel XVI secolo era già un anticonformista e ha osato andare oltre gli schemi.
Colui che ha voluto usare il “lume della ragione” in un periodo storico alquanto tenebroso per il pensiero critico. A causa di ciò divenuto sfortunatamente una vittima: trattasi di Giordano Bruno.
Viene citata, infatti, la sua opera “De l’infinito, universo e mondi“, in particolare il seguente verso:
“Quindi l’ali sicure all’aria porgo
né temo intoppo di cristallo o vetro:
ma fendo i cieli, e a l’infinito m’ergo.”
I temi sono, quindi, quelli dell’infinito cosmo, della ragione e di Dio paragonato, appunto, ad un Azzurro Silenzio. Proprio ciò che professava Bruno. Musicalmente, il brano è particolarmente coinvolgente e sulla scia dell’ultimo.
La numero quattro, “Cenere”, è una nuova versione dell’omonima canzone creata con i Lacrime di Cera, presente nell’album “La Vanità Del Sangue“ del 1994.
Il verso “come sguardi e sorrisi / di folli imperatori / hanno sepolto i nostri sogni / sotto tetri cumuli / di Cenere” riassume un po’ una delle emozioni presenti nel brano, ma anche nell’intero disco.
Quel senso di sfiducia nell’osservare il susseguirsi di eventi negativi nel corso degli anni e, con essi, anche la morte dei propri sogni, del proprio cuore.
Quella di vuoto è un’altra sensazione molto presente, così come un tema ricorrente, ma anche questo stato è sicuramente causato dalle circostanze.
Se dei sogni sono stati sepolti, vuol dire che un tempo qualcosa esisteva…
Tale speranza viene ritrovata in “A Lume Spento”.
E’ la volta dell’ispirazione letteraria: il titolo è, difatti, il verso finale dell’opera del poeta statunitense Ezra Pound, che recita così:
“Make strong old dreams lest this our world lose heart”
“Rendi forti i vecchi sogni
Perché questo nostro mondo non perda coraggio
A Lume Spento”
Un incoraggiamento a rendere forti i nostri sogni per continuare ad avere il coraggio di andare avanti, anche nei momenti bui. Questi ultimi sono chiaramente rappresentati dal Lume Spento, che racchiude in sé tutte le avversità e i conflitti interiori;
dei mali che stavolta sembrano poter essere gestiti imparando a rafforzarsi.
“Guarda la giostra
guardala, guardala
è un giro di valzer
che il cuore non può più ballare
mentre la terra muore”
C’è anche un verso come quello sopra citato, che ritrae la lotta continua tra l’andare avanti e sentirsi impossibilitati a farlo, dovendo assistere ad uno spettacolo tragico ambientato proprio nel mondo in cui viviamo.
“Vespero” e “Le Viole”, nonostante siano ritmicamente diverse, hanno comunque qualcosa che le accomuna: la narrazione e il desiderio di quelli che potrebbero essere luoghi lontani dal caos dalla società e dalle mani avide dell’uomo che arriverebbero a fare di tutto, persino rovinare lo stesso pianeta che li ospita e i suoi altri abitanti, con cui dovrebbe coesistere. Luoghi intoccabili e inarrivabili, quasi delle aree che andrebbero protette, dei posti fuori dal mondo.
I versi che ci fanno pensare ciò sono i seguenti:
“Nelle celle del silenzio / dove gli amanti si inebriano / per sfuggire alla vita”
“Le luci ora si spengono / e i piccoli di lupo giocano / nel cerco sacro della vita / dove gli uomini non entrano / e le lucciole festeggiano / la regina col suo re” (da “Vespero”)
“Portami via lontano / nei campi infiniti di viole / giardini di suoni e colori / che brillano finché la notte non spira”
“Portami via da qui / sui ponti che squarciano il cielo sussurrami fiabe di mondi lontani” (da “Le Viole”)
Le ultime due tracce, “L’Attimo Morto” e “Visioni Alterate”, al contrario sono caratterizzate ancora di più da quella schiettezza, sinonimo anche di autenticità, e da quel nichilismo menzionati in precedenza:
“Desideri in controluce / nell’immobilità / come gocce di cristallo / sospese in un’incudine / speranze mai nate / speranze già morte”.
“Amore / è una mosca ferita / che sui vetri appannati / nera si dimena” (da “L’Attimo Morto”).
“Un serpente di cristallo / che sibila parole / il cui senso io non so.” “Il clown con la sua frusta […] piange e parla con le sue mosche / ride e gioca coi suoi cani / mentre agita la lingua / così senza un perché”
“Sul treno nero della sera / puttane e trucchi sfatti / soldati senza più una guerra / in viaggio verso l’alba / che non vuole più arrivare”. (da “Visioni Alterate”).
In conclusione, L’Attesa Che Uccide è un disco di importante spessore musicale e culturale, non adatto ad un ascolto superficiale.
Un tesoro ricco di cultura dopo un viaggio in un mare di nulla, in un’isola che sembra apparentemente deserta; così come lo è Ignazio, poeta e personalità nichilista ma anche molto empatica, poiché usa la sua voce e le sue doti artistiche per raccontarci delle difficoltà esistenziali, delle minoranze, inclusa quella non umana.