Sempre meno androgini e sempre più pop, la band di Molko ci riprova. E sbaglia in pieno.
Da anni ormai l’ispirazione è andata perduta, e prova ne è un susseguirsi di full-length che riescono ogni volta a far rimpiangere i già mediocri dischi precedenti. Dopo un discreto debut nel 1996, fu la volta del loro capolavoro “Without You I’m Nothing”, poi il flop qualitativo di “Black Market Music” (che già lanciava le prime inascoltate avvisaglie della degenerazione ventura) e l’apprezzabile ripresa di “Sleeping With Ghosts”. Da qui in avanti la parabola Placebo si tuffa a perpendicolo in un ristagno di rigurgiti musicali, che definire brutti è un eufemismo: nel 2006 ci tediarono con “Meds” e tre anni ancora ci misero per dare alle stampe il pessimo “Battle For The Sun”.
E oggi? Oggi è la volta di “Loud Like Love” che indefesso ne conferma il declino, tracciato senza infamia e senza lode da un tenace primus movens che a tutti i costi vuol farsi sentire senza però avere nulla di cui parlare. Che poi a ben sentire, un infinitesimale miglioramento sembra sussistere qua e là, come nelle orecchiabilissime “Hold On To Me” e nell’eponima “Loud Like Love”. Ma sia ben inteso, il miglioramento è rispetto all’album precedente, nient’altro. Gli schemi sono gli stessi di sempre, collaudati fino alla nausea, insomma le solite menate alla Placebo, solo ulteriormente smussate dal gusto discutibile ma remunerativo di Adam Noble: a tal proposito è emblematico il singolo “Too Many Friends”, sguaiatamente commerciale e irritante. E neanche il videoclip in collaborazione con il nume post-modernista Bret Easton Ellis riesce nell’impresa di redimerne l’importuna involuzione sonora.
E’ un album di maniera e smaccatamente emo; e anno dopo anno la voce di Molko sembra perdere colpi in maniera preoccupante. Di certo è un album alla portata di hardcore fan, ovverosia quel target senza arte né parte che si lascia abbindolare da tempeste ormonali trascurando le nefandezze musicali che Molko ripropone senza vergogna in ogni disco. Anzi, a quei pochi ma ostinati uditori sembra quasi sacrosanto aspettarsi ogni volta la stessa traccia e la stessa struttura. Contenti loro, contenti tutti? No. “Loud Like Love”, a scanso di equivoci, è da evitare in tutti i modi possibili.
In ambito alternative rock è forse il peggior disco dell’anno. E con questo sono pressoché certo di aver detto tutto.