Lo scrittore Claudio Magris, ricordando gli anni della Guerra Fredda, ha sempre fatto riferimento alla frontiera sul Carso ed al mondo misterioso che gli si apriva davanti ogni volta che vi giungeva davanti, o forse potrei parlare della voglia di conoscenza e di curiosità che aveva Ulisse ed il suo spingersi sempre oltre. Non so, fate un po’ voi ma il tema del nuovo disco di Derniere Volonté, fin dal titolo inequivocabile ed anche dalla copertina, ripropone e riapre il tema ed il mito del confine, del limite.
Perché il limite può essere un ostacolo per chi ha scarse speranze e scarse propensioni agli slanci migliorativi ma può essere uno stimolo per chi ambisce ad un superamento di sé stesso in chiave verticale. Questo volersi superare, andare al di là delle solite classificazioni, in questo caso musicale, ma la cosa si potrebbe applicare anche ad alti ambiti, è la “missione” che si è imposto ormai da molto tempo Geoffroy D.
Dal momento in cui, precisamente, ha voluto lasciarsi alle spalle gli stantii stilemi industrial-marziali degli esordi e lanciarsi in modo sorprendente in questa nuova veste musicale.
“Frontière”, il nuovo lavoro, ripercorre la strada già tracciata dai tempi di “Devant le Miroir” (anno di grazia 2006) e cioè quell’argine ben strutturato ormai, in cui il nostro caro amico francese è riuscito ad unire le ritmiche a volte più sostenute ed a volte più delicate del drumming elettronico con i ritornelli accattivanti dei sintetizzatori.
L’atmosferica ed ipnotizzante “Tu Connaitras Mon Ame” apre il lavoro e da allora è un turbine di emozioni e sensualità, quella sensualità che, è inutile negare, il cantato in francese sa donare da sempre. La sinistra melodia di “Je parlerai du noir” ci scuce in un lento vortice oscuro che profuma di soundtrack e che non avrebbe sfigurato in una colonna sonora di matrice Carpenter. La title track è poi quel brano perfetto che sa unire fisicità minimale e melodia accattivante, in un connubio riuscito che però da quello che emerge, non si replica nelle tracce seguenti dominate fondamentalmente, nella loro totalità da tonalità chiaroscurali e più lente. Un disco che fondamentalmente, è esalazione di temi decadenti che sanno di tramonto e di ombre.
Ecco perché ho apprezzato ancor di più questo lavoro di DV, perché al contrario da quello che si possa pensare, il clima resta soffuso, davvero introspettivo e poco propenso agli aspetti ludici delle piste da ballo nonostante la matrice sia esclusivamente elettronica.
Una sfida, torniamo appunto al motivo del disco, in cui si punta a superare il confine, materiale o immateriale che sia, sulla terra o nello spazio, per curiosità o necessità. Una sfida ardita per salvarsi e per sopravvivere. Un disco che nulla toglie e nulla aggiunge alla storia di DV ma che consiglio senza dubbio di ascoltare. Anche per scrollarvi di dosso la solita routine musicale a cui gli innumerevoli gruppi darkwave (tutti uguali tra loro) ci hanno abituato negli ultimi anni.