Una giovane e sfortunata ragazza di nome Elizabeth perde il padre. Dopo la perdita decide di recarsi presso un antico monastero situato sul Mar Nero, lo stesso a cui il genitore, per molto tempo, ha donato cospicue cifre in denaro. L’antica costruzione, purtroppo per Elizabeth, ha però una particolarità non comune; sembra difatti che le suore che vivono al suo interno siano solite adorare una creatura infernale. Tra cunicoli e misteriose camere segrete, la sventurata fanciulla dovrà non solo riuscire a sopravvivere ma, soprattutto, cercare di rimettere assieme le tessere di un passato oscuro.
Che l’horror italiano, a partire dalla metà degli anni 80, abbia subito un’incredibile impennata verso il basso, è ormai cosa nota a tutti; dopo uil decennio anni 70 di raro spessore artistico, gran parte degli autori responsabili di alcune tra le pagine più belle del cinema orrorifico nostrano rimangono invischiati – è il caso di dire disgraziatamente – in un sistema produttivo nel quale, anche a causa della nascita delle moderne televisioni, le poche risorse a disposizione vengono dirottate su altri tipi di lidi cinematografici e di intrattenimento. Se alcuni anni prima, nel limite del possibile, la fantasia dei registi italiani di genere poteva sopperire all’eventuale mancanza di mezzi – riuscendo miracolosamente a tenere testa a produzioni d’oltreoceano ben più sponsorizzate – con l’avvento delle nuovissime (leggasi anche “costosissime”) tecnologie hollywoodiane degli eighties, la situazione cambia drasticamente. Si assiste quindi ad un periodo dove l’assoluta e totale mancanza di mezzi, unita ai motivi di cui sopra, sancisce la fine di un’era filmica assolutamente raggiante.
Malgrado il desolante panorama, agli inizi degli anni 90, con non poca sorpresa, esce quello che è da considerarsi come l’ ultimo vero ruggito dell’orrore madre in Italy: ” Dark waters”, di Mariano Baino.
Dopo essersi fatto notare con “Caruncula”, riuscito cortometraggio dai toni argentiani, l’allora giovane regista campano firma questo vero e proprio gioiellino d’autore.
Finanziato tra Russia, Inghilterra e Italia, il lungometraggio (girato esclusivamente in territorio russo) si avvale di un’incredibile atmosfera dai toni pagani e gotici, emanando un sentore che, oltre a ricordare i fasti poderosi della cinematografia del terrore italiano, si dipana in visioni squisitamente lovecraftiane ed arcaiche.
Il talentuoso cineasta, con encomiabile coraggio, decide di fare sul serio fin dall’inizio, costruendo un’incipit fatto di suggestivi scorci naturali, immagini di forte impatto esoterico e sinistri rumori ambientali che, da soli, caratterizzano i primi dieci/quindici minuti del film.
Dopo un balzo temporale di vent’anni, e in concomitanza con l’arrivo della protagonista sull’ignoto isolotto, la storia si sviluppa irrimediabilmente nel cuore del convento sconsacrato, snocciolando una tensione palpabile in ogni singolo fotogramma. La messa in scena e la ricostruzione ambientale sono difatti di vibrante potenza visiva, con numerosi piani sequenza (da antologia quello in cui si descrive il rito delle qui presenti suore) e inquadrature di folgorante bellezza estetica.
La malvagità che si insinua nelle segrete e nei lugubri corridoi del terribile luogo, è resa ottimamente – con fare calcolato e certosino – dalla magnifica fotografia, caratterizzata dalla luce avvolgente delle candele che proiettano ombre minacciose e figure grottesche sulle pareti di pietra delle varie stanze.
La pellicola, naturalmente, non offre solo una riuscita caratterizzazione ambientale, ma anche un aspetto visionario fatto di simbologie e incubi rivelatori che, nella loro totalità, consentono al cineasta di sfogare tutta la sua verve visionaria; tra paure nascoste e apparizioni demoniache intrise di sangue e morte, è proprio la lotta tra il bene e il male ad elevarsi a valore simbolico, con la figura del Cristo crocefisso, ormai decaduto, che si ritrova affogato dall’acqua vitale di un mostro millenario in procinto di risvegliarsi e di ricongiungersi alla sua parte terrena e, di conseguenza, infinitamente più concreta.
Senza dubbio alcuno, “Dark waters” è da considerarsi come l’ultimo caposaldo dell’horror tricolore, quello più creativo e sinceramente pauroso che da sempre appassiona milioni di appassionati.
Suore assassine, manoscritti occulti scritti mediante l’uso di ideogrammi ignoti, splatter, misteri indicibili e molto, molto altro: praticamente un cult.