Agli inizi degli anni ’60, in un paese della Bassa Ferrarese arriva un giovane restauratore per ripristinare un affresco sulla morte di San Sebastiano, dipinto da un artista locale naïf e un po’ folle, morto suicida trent’anni prima. Si trova coinvolto in una bieca atmosfera e, dopo morti violente e colpi di scena, scopre a sue spese una orribile verità. 5° film del bolognese P. Avati e il 1° prodotto da lui con l’A.m.A. (in società con il fratello Antonio e Gianni Minervini), scritto con Gianni Cavina, Maurizio Costanzo e il fratello, è un noir padano che sconfina nell’horror con qualche facile effettaccio. Narrativamente sconnesso, conta per il senso del paesaggio, il gusto della dismisura, l’inclinazione al grottesco, la direzione degli attori, la cura dei particolari. Premio della Critica al festival du Film Fantastique di Parigi 1979.
La casa dalle finestre che ridono è una delle più grandi opere horror che il cinema italiano ricordi. Film dal costo irrisorio, 120 milioni delle vecchie lire, fu girato in cinque settimane con una troupe di sole dodici persone, La sceneggiatura fu scritta dal regista con il fratello Antonio, Gianni Cavina e, l’allora autore, Maurizio Costanzo. I personaggi principali sono interpretati da Lino Capolicchio, Francesca Marciano e lo stesso Cavina, in una delle sue migliori interpretazioni. Ambientato a Minerbio, un paese della provincia di Ferrara, Avati, memore in questo caso dei racconti gotici uditi in gioventù, con questo film tenta di esplorare l’anima nera della sua Romagna da Amarcord fatta anche di isolati paesini, misteri, e lugubri casolari isolati.
Stefano un giovane restauratore, è incaricato del restauro di un affresco rinvenuto in una chiesa. Il dipinto raffigura il martirio di San Sebastiano ed è opera di tale Buono Legnani, morto suicida trent’anni prima e soprannominato il “pittore delle agonie” per l’abitudine, si racconta, di ritrarre i suoi soggetti nel momento della morte. Mentre il suo lavoro procede, nella tranquilla cittadina che ospita il giovane inizia ad aleggiare una sinistra atmosfera, maligna e perversa, ed iniziano ad accadere strani fatti di sangue; il giovane restauratore, sempre più incuriosito, inizia ad indagare. Inizia così il viaggio allucinante di Stefano alla ricerca della verità e, tra morti violente, omertà e colpi di scena scopre che l’inquietante affresco è il nascondiglio insospettabile di un universo parallelo e corrotto, pregno di sofferenza e morte.
Celebri il colpo di scena conclusivo e il finale in sospeso.
La casa dalle finestre che ridono è un film di terrore puro, che fa paura sul serio, non confonde, come tanti film del genere, la suspance con la paura vera e propria, con la solita mano minacciosa che emerge dal buio e insegue le vittime in stanze semibuie, con contorno di musichette snervanti e con il tradizionale impiego di location “da brivido”; effetti anche efficaci, ma artefici di paure che raramente hanno la capacità di porre in crisi le certezze di chi fruisce lo spettacolo, paure che si dissolvono al riaccendersi delle luci in sala. L’operazione che compie Avati è senza dubbio più complessa; con un contesto geografico ben noto e definito, nel quale si collocano personaggi come lo scemo del villaggio, l’ubriacone, l’imprenditore nano, la ninfomane, da pura e vecchia commedia italiana, crea un insieme di elementi che lo spettatore percepisce rassicurante, come potrebbe esserlo la propria famiglia. Ed e lì che si sprofonda nel baratro della paura, proprio perché questa assoluta chiarezza della visione va ad investire quelle che sono le certezze primarie della realtà che lo spettatore crede di conoscere.
“ La paura, quella vera, non è un banale sobbalzo: c’è chi dice che nell’istante in cui si prova un brivido di paura vera, quello è un istante in cui si muore; poi si torna alla vita, ma quel brivido si cristallizza in una scheggia che resta dentro e continua a pungere, spingendoti a osservare il mondo da una prospettiva più “cauta”.” *
“Avati, in più di un’intervista, ha ricordato che qualcuno a Torino durante la prima proiezione del film rise a crepapelle. A noi sembra, però, che in questo film a sorridere siano soltanto quelle angoscianti finestre (disegnate “artigianalmente” dal fratello del regista), testimoni di un orrore senza fine.”**
* Gilberto Berardinelli: “La casa dalle finestre che ridono. Qualcosa di sinistro sta per accadere”
** Vincenzo Carlini: “Grana rosso padano. Recensione del film La casa dalle finestre che ridono”