In una Venezia rinascimentale, mentre fervono i moti popolari e, soprattutto, gli intrighi degli stranieri per creare o distruggere alleanze tra la Serenissima e altre fazioni, un misterioso assassino – a cui il popolino ha assegnato il nomignolo “La gondola del Diavolo”, poiché dopo ogni delitto una misteriosa gondola abbandona le acque svanendo come un fantasma tra i canali – colpisce importante figure del governo. La storia d’amore tra una giovane popolana e uno studente appartenente alla nobiltà s’intreccia con queste vicende storico-gialle, fornendo una spinta essenziale alla risoluzione dei misteriosi omicidi.
Carlo Campogalliani (esperto e abile artigiano del cinema popolare: Ursus, 1961 e Maciste nella valle dei re, 1960) riduce per lo schermo un soggetto di Max Calandri (poi anche lui autori di alcune pellicole commerciali come Il moschettiere fantasma, 1952) che unisce varie anime dello spettacolo popolare – il film in costume, l’intrigo storico e la storia d’amore tra la popolana e il patrizio di turno – aggiungendovi però anche il mistero e il “giallo”, elementi non particolarmente utilizzati – e non lo saranno fino al finire degli anni ’50 – dal cinematografia italiana. Il risultato, grazie alla sua abilità nella gestione degli elementi, è una discreta pellicola, vittima di alcune ingenuità dovute sia al periodo di realizzazione che all’innocenza delle sceneggiature di un divertimento riservato a un pubblico di non grandi pretese e ancora ancorato a una semplicità mentale che avrebbe reso difficilmente accettabile una maggior complessità o durezza dell’argomento – e lo testimoniano pienamente le pellicole “peplum” con la loro concettuale ingenuità, anche se con la seconda metà degli anni ’60 (e, nello specifico, con l’avvento dell’iperbolica violenza dello “spaghetti western”) tutto sarebbe cambiato in un improvviso balzo sociale.
In ogni caso, sia l’intreccio giallo – che abilmente si combina con quello romantico – che l’azione storica risultano molto ben amalgamati e non mancano di fascino, grazie anche alla bella fotografia del duo Mario Albertelli (Barbablù, 1941 di Carlo Ludovico Bragaglia) e Antonio Marzari (nella cui scarna filmografia, cominciata con È sbarcato un marinaio, 1940 di Pino Ballerini, questo è il titolo conclusivo) capaci di conservare nel loro bianco-e-nero le atmosfere più fosche della città lagunare.
Le buone interpretazioni dell’intero cast rendono alquanto agevole il lavoro del regista modenese, fornendo credibilità e un vivo senso dell’emozione ai propri personaggi, tra i quali spiccano il giovane Paolo di Alfredo Varelli (I giganti della Tessaglia, 1960 di Riccardo Freda); il mellifluo Ricunis di Carlo Lombardi (L’anonima Roylott, 1936 di Rafaello Matarazzo); e la sensuale Imperia di Flora Marino (La signora delle Camelie, 1947 di Carmine Gallone).
La gondola del diavolo (1946 – Carlo Campogalliani)
